Burro o strutto? Quale è meglio scegliere per le preparazioni dolci e salate? Vediamo insieme alcune differenze e perché lo strutto non deve essere demonizzato
Quando pensiamo a dolci tipici come i pasticciotti leccesi, i cannoli siciliani o preparazioni salate, come il casatiello napoletano, il tortano, le tigelle, c’è un ingrediente che ricorre spesso, anche se oggi viene un po’ snobbato e si ha quasi paura a nominarlo: lo strutto.
Questo grasso animale (di maiale), protagonista della tradizione pasticcera italiana soprattutto negli scorsi anni, è da sempre utilizzato per ottenere impasti fragranti, croccanti e incredibilmente morbidi. Solo che, ultimamente, viene spesso sostituito con olio, burro o altri tipi di grassi.
Ma quanto sappiamo dello strutto? È davvero più “pesante” del burro? E quando è preferibile utilizzarlo? Sfatiamo insieme qualche mito.
Dal punto di vista nutrizionale, le differenze tra i due sono minime: lo strutto è composto per il 99% da grassi, di cui il 44% saturi, mentre il burro ne contiene circa l’83%, con una percentuale di grassi saturi che si aggira intorno al 49%.
Lo strutto è spesso sottovalutato, ma in realtà è un prezioso alleato in cucina.
Favorisce una distribuzione più uniforme dell’anidride carbonica, migliorando la lievitazione.
Inoltre, ha un punto di fumo più elevato rispetto al burro, caratteristica che lo rende ideale per le fritture e le cotture al forno, mantenendo croccantezza e leggerezza senza appesantire il risultato finale.
A differenza del burro, non lascia residui untuosi e dona una consistenza più asciutta e fragrante.
Ma non è tutto: l’utilizzo dello strutto rende l’impasto più morbido e meno umido, trasformando la consistenza finale del dolce.
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