La farina è uno degli alimenti più utilizzati al mondo: che sia di grano, di miglio, con glutine o senza, viene impiegata per preparare pasta, pane, pizze.
La farina è uno degli alimenti più utilizzati al mondo: che sia di grano, di miglio o di riso, con glutine o senza glutine, viene impiegata per preparare pasta, pane, pizze o inserita in minestre o zuppe.
Ne esistono tantissimi tipi, ognuna con caratteristiche particolari e proprietà nutritive diverse.
Ecco di seguito una guida esaustiva sulle tipologie di farina, il modo in cui vengono coltivate e utilizzate in cucina.
Questa farina è un alimento che si ottiene dalla macinazione del grano tenero. Questo cereale ha avuto un’importanza fondamentale nella storia dell’umanità. La sua origine è antichissima. Venne coltivato per la prima volta circa 10.000 anni fa nel territorio della cosiddetta "mezzaluna fertile" ovvero in Medio Oriente.
La sua scoperta rappresenta una delle conquiste più incredibili per l’uomo perché gli permise di trasformarsi da nomade a stanziale. Intorno al 3000 a.C., gli Egiziani iniziarono a organizzare le coltivazioni del grano secondo criteri ben precisi. Furono però i Greci a portarlo in Italia. Nell’Impero Romano era considerato un alimento fondamentale per sfamare la plebe e i prodotti ottenuti dalla sua lavorazione venivano offerti alla dea Cerere.
Grazie alla sua adattabilità, il frumento è coltivato oggi in tutti e cinque i continenti e l’Italia è uno dei maggiori produttori al mondo.
Il grano è una pianta annuale che appartiene al genere delle Graminacee. Si adatta bene a qualsiasi terreno e sopporta gli stress climatici. La semina avviene in tardo autunno mentre la mietitura in estate. Esistono due tipi di grano: tenero e duro. Dal primo si ottengono le farine, dal secondo le semole. Il frumento duro è caratterizzato da una forte presenza di glutine ed è coltivato soprattutto nell’Italia meridionale. La spiga è tozza ed i chicchi grossi e pesanti. La sua macinazione dà luogo a uno sfarinato grosso, dal colore vitreo, che viene utilizzato sia per produrre la pasta fresca sia per alcune ricette tipiche della nostra tradizione come il pane di Altamura. I prodotti derivati dall’utilizzo di questo grano sono caratterizzati da un colore giallo dorato.
Il grano tenero invece, tipico dell’Italia settentrionale, presenta una spiga sottile con chicchi leggeri. La sua molitura regala, come vedremo, un prodotto fine e adatto a preparare ricette sia dolci che salate.
Da un punto di vista nutritivo, i due tipi di grano rappresentano una fonte molto importante di carboidrati complessi. Ricchi di vitamine e sali minerali, nella versione integrale regalano all’organismo umano un surplus di fibre che aiuta a mantenersi in forma.
Il processo produttivo della farina di grano tenero ha inizio con l’arrivo del grano al molino. Qui ogni carico è sottoposto a una fase di pre-pulitura ovvero a rigorosi controlli che permettono di escludere la presenza di odori sospetti tipo muffe e di particelle estranee che non sono state eliminate dalla mietitrebbia. In seguito, prima di immagazzinare la merce nei silos, viene valutata la capacità molitoria del cereale attraverso la misurazione del peso specifico insieme a una serie di analisi che permettono di verificare lo standard qualitativo del cereale.
La macinazione del grano tenero produce una resa in farina che va dal 70% all’82%. Tale percentuale dipende da due elementi specifici ovvero il tipo di grano che si sta utilizzando ed i parametri chimici e fisici che sono stati impostati prima della macinazione stessa del cereale.
La pulitura vera e propria del frumento avviene poco prima della macinazione. Questo step è condotto con molta attenzione e rigore perché è finalizzato all’eliminazione delle impurità specifiche. La spazzola del grano è il principale macchinario che viene utilizzato per pulire in modo profondo il chicco. Seguono l’aspirazione, che permette di togliere i residui di paglia, e la calibrazione che separa i grani da eventuali semi estranei di piccole dimensioni.
Una volta effettuate queste operazioni preliminari, il grano è pronto per affrontare il condizionamento. In questa fase i chicchi vengono bagnati con un quantitativo sufficiente di acqua per ammorbidire la parte esterna e facilitare il distacco. Grazie alla "bagnatura", la parte esterna della crusca non corre il rischio di frantumarsi durante la macinazione, facilitandone quindi la separazione durante la setacciatura.
Il condizionamento dipende da tre fattori: la quantità di acqua, la sua temperatura e il periodo di riposo dei chicchi. Quest’ultimo può andare dalle 12 alla 48 ore. La durata si stabilisce in base all’umidità iniziale del grano e il grado di friabilità del seme stesso. In questa fase è fondamentale conoscere anche il grado di durezza del cereale perché in presenza di grani più duri è necessario prolungare sia la fase di bagnatura che quella del riposo. Prima della macinazione vera e propria, il cereale viene sottoposto a un’ulteriore pulizia che serve a ottenere il massimo risultato in termini di purezza e qualità.
La macinazione industriale prevede vari passaggi, da 8 fino a 14. Le macchine utilizzate sono i laminatoi a cilindri, entrati in uso sul finire del XIX secolo, e che hanno sostituito le tradizionali mole cilindriche. Le macinazioni sono progressive e tolgono delicatamente la farina dal chicco. In questa fase è fondamentale non frantumare la parte della crusca e il cruschello stesso, quindi l’involucro esterno. Dopo ogni step, il prodotto ottenuto viene aspirato tramite le Plansichter, macchinari pneumatici che servono per realizzare la setacciatura finale della farina. Gli scarti della lavorazione (crusca, farinaccio e cruschello) verranno poi utilizzati per ottenere altri prodotti oppure in ambito zootecnico.
La farina che deriva da una bassa estrazione (70/75%) è la 00 e la si riconosce a occhio nudo perché è particolarmente candida e pura. I prodotti che derivano invece da un’alta estrazione contengono anche la parte esterna del chicco e quindi sono visibilmente meno chiari. In questo caso parleremo di farina 0, tipo 1, tipo 2 e integrale.
Spesso sentiamo parlare di forza di panificabilità o, più semplicemente, di forza della farina. Con questo termine si intende la capacità della farina di assorbire una determinata percentuale di acqua. Più è alta tale percentuale, maggiore sarà la forza della farina stessa. L’impasto ottenuto con la farina forte è quello più adatto alle lunghe lievitazioni. Asciutto ed elastico, deve essere capace di conservare al suo interno l’anidride carbonica che si sviluppa naturalmente in seguito all’utilizzo del lievito. Gli impasti così ottenuti sono voluminosi e dotati di un’ottima alveolatura.
In commercio è possibile trovare farine di grano tenero che hanno un diverso grado di panificabilità. Per semplificare l’uso può essere utile questa tabella:
La famosa farina Manitoba, che prende il nome dalla regione canadese dalla quale proviene, appartiene a questa ultima categoria. Caratterizzata da un alto contenuto in glutine, può assorbire anche il 90% del suo peso in acqua e offre alla lavorazione dell’impasto una notevole resistenza ed elasticità.
E se la farina che troviamo in commercio non ha specificato l’indice W? In questo caso è possibile far riferimento a un altro valore, il contenuto proteico espresso in grammi. Più è alto, maggiore è la forza della farina. In generale una 00 normale si attesta sui 9/9,5 g mentre una forte sui 12/12,5. Attenzione: in presenza di valore proteico alto, l’impasto avrà bisogno di un tempo di lievitazione più lungo.
Il farro è un cereale che appartiene alla famiglia delle Graminacee. Conosciuto e utilizzato fin dall’antichità, può essere consumato al naturale, dopo una cottura medio-lunga, oppure come ingrediente base per insalate e zuppe.
Esistono tre tipi di farro:
La varietà più diffusa nel nostro Paese è il farro medio. È coltivato nelle zone montuose dell’Abruzzo e in Toscana, nella Garfagnana, dove gli è stata riconosciuta l’Indicazione Geografica Protetta (IGP). È un cereale che cresce laddove altre specie non potrebbero mai prosperare. Ama i terreni aridi e impervi, caratterizzati da un clima rigido e freddo.
Le prime notizie relative all’utilizzo della farina di farro nella storia risalgono all’era neolitica. Conosciuto anche in Egitto e Mesopotamia, era particolarmente apprezzato dai Romani tanto che lo resero non solo la base della loro alimentazione quotidiana, ma anche il cibo principale dei banchetti nuziali. Dopo fasi più o meno alterne in cui ha rischiato di finire nel dimenticatoio, il farro e la farina ricavata dai chicchi sono diventati un cardine della moderna alimentazione in virtù delle notevoli proprietà dietetiche. Da un punto di vista nutrizionale, il farro è un alimento formidabile: poche calorie, un elevato tenore di vitamine del gruppo B e una serie di amminoacidi essenziali, tra cui la metionina.
Ma come si ottiene la farina? Il chicco di farro non può essere utilizzato dopo la trebbiatura perché presenta una pellicola che ricopre il seme. Tale involucro, chiamato glumella o lollo, deve essere tolto perché interferisce con la macinazione del chicco e non presenta nessun componente nutritivo degno di nota. La prima fase quindi è la cosiddetta decorticatura del seme finalizzata proprio all’eliminazione della glumella.
Il secondo step è la perlatura che ricorda da vicino alcune fasi tipiche della produzione dell’orzo e del riso. La superficie del seme viene leggermente graffiata dai macchinari sia per diminuire la quantità di fibre sia per regalare un aspetto più chiaro e limpido al prodotto finale. Se viene eliminato totalmente il pericarpo, l’elemento più ricco in fibre, parleremo di farro perlato. Se, al contrario, viene lasciato intatto, parleremo di farro decorticato. L’ultimo passaggio è la macinazione che trasforma il chicco in farina.
Al contrario della farina di grano tenero, la lavorazione del farro è più complessa perché necessita delle decorticatura, una fase che comporta un maggior dispendio di risorse. Se a questo aspetto uniamo anche la bassa resa di questo cereale in termini di coltivazione, possiamo facilmente comprendere il motivo per cui la farina di farro costa di più rispetto alla farina di grano tenero. Per contenere i costi si preferisce utilizzare la Spelta, più economica ma molto ricca in fibre vitamine.
Il gusto deciso e l’aspetto più rustico rendono la farina di farro un ingrediente perfetto per la lavorazione di molte ricette. Sostituisce egregiamente la farina di grano tenero nella panificazione, nella lavorazione di grissini e crackers, nella pasta fresca e in molti dolci come torte e crostate. Il farro è ottimo nella preparazione di pane, pizza e focaccia. Miscelato con farine forti di grano tenero, sprigiona caratteristiche organolettiche incredibili, rendendo soffici ed eterei impasti ad alta idratazione.
Curiosità: sembra che il nome farina derivi proprio da farro.
Il vero nome del Kamut è grano Khorasan, una specie che fa parte della categoria dei cosiddetti grani antichi. La sua è una storia secolare. Nato in Iran, si è diffuso rapidamente in tutto il bacino mediterraneo. Alcuni chicchi pare siano stati rinvenuti in perfetto stato di conservazione all’interno di una tomba egizia. Il termine Kamut, che in egiziano vuol dire proprio grano, venne utilizzato e registrato come marchio da una società americana del Montana che si assicurò i diritti derivanti dalla coltivazione di un cultivar di grano particolare, il Khorasan.
Rispetto al frumento classico, la pianta di grano Khorasan è molto più alta e anche i suoi chicchi presentano dimensioni maggiori rispetto a quelli del grano comune. Oltre alla grandezza, questa specie presenta anche un’altra particolarità molto apprezzata dagli agricoltori. Resiste bene alle intemperie, non teme la siccità ed è praticamente inattaccabile da parte dei parassiti. Diffusa soprattutto in America e in Canada, questa pianta viene coltivata con successo anche in Toscana, in Puglia e Basilicata.
La farina di grano Khorasan segue l’iter produttivo della farina di grano tenero. Il raccolto è forse la fase nella quale occorre prestare più attenzione. I chicchi infatti, anche se sono più grandi del grano comune, sono notoriamente più fragili, quindi devono essere trattati con molta cura. In seguito, per garantire un prodotto finito esente da impurità e contaminazioni, ogni chicco viene pulito per togliere i residui leggeri come polvere e paglia che possono interferire con il processo di macinazione. Dopo l’estrazione della crusca e del cruschello, il chicco viene calibrato e infine macinato.
Da un punto di vista nutritivo, il Kamut è un grano dalle numerose qualità. Cresce bene senza pesticidi e diserbanti chimici, quindi è perfetto nell’ottica di un’alimentazione sana e biologica. Ha un elevato tenore in proteine, è ricco di minerali quali il selenio, lo zinco e il magnesio. Offre un surplus di energia molto importante e per questo motivo è consigliato nell’alimentazione di sportivi, bambini e anziani.
In cucina il chicco viene utilizzato come ingrediente base di zuppe e insalate. La farina invece trova un largo utilizzo e può sostituire egregiamente la farina di grano duro nella preparazione di pane, pasta, pizza, biscotti, cracker, torte e frollini. Per quanto riguarda la panificazione, può essere utilizzato sia il lievito di birra che il lievito madre. L’impasto a base di farina di Kamut infatti permette un corretto sviluppo della massa in termini di volume ed elasticità.
Secondo Plinio il Vecchio, la segale era un cibo così povero che serviva soltanto a non morire di fame. La notorietà di questo cereale non era certo delle migliori presso il popolo Romano!
La segale probabilmente è nata in modo spontaneo intorno al IV secolo a.C. in Asia Minore nei campi destinati alla coltivazione dell’orzo. In Europa è arrivata per puro caso, trasportata insieme ai carichi di grano. Era apprezzata particolarmente dai Celti mentre i Romani, come abbiamo visto grazie alle parole del famoso scrittore, non ne erano entusiasti. Questo cereale infatti aveva la fama di cibo amaro, capace di dar "disturbi di stomaco". In seguito venne ampiamente utilizzato durante il Medioevo soprattutto nelle regioni dell’Europa centrale e settentrionale. Questa sua localizzazione non deve stupire. La segale è un cereale che sfida il rigore invernale e le altitudini. Ancora oggi, in Germania, Scandinavia e Ungheria, la farina di segale è utilizzata per preparare un pane dal colore scuro e dal sapore molto deciso. In Italia è coltivata in Friuli, Piemonte, in Trentino Alto-Adige e in Lombardia.
Da un punto di vista strettamente botanico, la segale appartiene al genere delle Poaceae. L’aspetto è simile a quello del frumento anche se lo stelo è più forte e la spiga più ruvida. La segale invernale è la varietà più coltivata nei paesi dell’Europa centrale, ed è proprio da queste zone che proviene la maggior parte della produzione mondiale. I semi sono messi a dimora nel mese di luglio e la pianta si sviluppa durante la stagione invernale per poi essere raccolta l’anno successivo a settembre. La sua conformazione le permette di trattenere l’umidità tipica della stagione più fredda per fronteggiare l’eventuale siccità primaverile. La segale estiva invece è seminata in autunno e raccolta in primavera.
La farina di segale deriva dalla macinazione dei semi della pianta. È un alimento scuro, dal caratteristico sapore deciso. In base a come viene trattato il chicco si divide in: chiara, intermedia, scura e integrale.
La qualità migliore si ottiene dalla macinazione a pietra. È dotata di un basso indice glicemico e un contenuto ridotto in glutine, ma, nonostante questa caratteristica, non è adatta all’alimentazione dei celiaci. L’aspetto nutrizionale è caratterizzato anche da un alto contenuto in fibre, che migliorano il senso di sazietà, proteine e vitamine.
Il suo utilizzo in cucina è condizionato dalla scarsa presenza di glutine, un elemento che limita molto il potere panificatorio della farina stessa. Per ricavare quindi un pane profumato e dalla mollica densa come quello tipico dell’Europa centrale è sempre consigliabile utilizzare il lievito madre oppure sfruttare l’abbinamento con la farina di grano integrale o quella di farro. Dà il meglio di sé nelle preparazioni salate come pane, pizza, crackers e pasta, alle quali regala un sapore marcato che si sposa bene con cibi e condimenti. Allo stesso modo può essere utilizzata per la preparazione di torte e biscotti rustici, miscelandola con altri tipi di farina per renderla più malleabile e delicata.
Dall’unione della Secale, la segale, e del Triticum, il frumento, è nato un ibrido, il Triticale, che ha permesso di riunire in un solo prodotto i pregi dei due "genitori".
La nascita di questo nuovo cereale è avvenuta durante la prima metà dell’Ottocento ma soltanto molti anni dopo è iniziata la coltivazione su larga scala. Prodotto soprattutto in Polonia, Germania, Russia, Bielorussia e Francia, il Triticale ha unito la notevole resistenza al freddo e alle intemperie della segale con l’elevato potere di panificazione del frumento.
Nella genesi del Triticale, il frumento è il genitore femmina mentre la segale è il maschio. In base al singolo cultivar il cereale che ne consegue può avere le caratteristiche fisiche di uno o dell’altro ed è sterile, per cui deve essere trattato con alcune sostanze per acquistare la capacità di riprodursi.
Da un punto di vista botanico, il Triticale mostra una spiga grande che può contenere fino a 150 semi. Ama le temperature fresche, le coltivazioni in montagna e i terreni sabbiosi e non troppo fertili. Non ha bisogno di tanta acqua per crescere bene perché riesce a sfruttare molto bene le riserve idriche del sottosuolo.
Il Triticale ha una grande importanza economica.
La sua coltivazione su larga scala può migliorare la produzione alimentare e la stessa nutrizione dei Paesi in via di sviluppo e non solo. Questo ibrido infatti rappresenta un ottimo foraggio per gli animali, economico e molto energetico. Sono queste caratteristiche che spingono gli scienziati a migliorare in continuazione sia la coltivazione che gli aspetti nutritivi di questo ibrido
La farina di Triticale si ricava ovviamente dalla macinazione dei suoi semi.
Le sue proprietà nutritive sono molto importanti perché è un cereale che riesce a coniugare gli aspetti positivi dei due cereali dai quali proviene e a colmare le eventuali mancanze. La farina di frumento, ad esempio, contiene poca lisina mentre la segale ne ha tantissima. Il triticale offre un moderato apporto calorico e non è adatto all’alimentazione dei celiaci. Ricco in fibre e proteine, contiene minerali molto importanti come rame, manganese e ferro.
In cucina se ne consiglia soprattutto l’uso per la panificazione. Il pane che si ottiene è scuro, profumato e particolarmente digeribile. Può essere utilizzato anche per fare dell’ottima pasta fatta in casa e dolci dall’aspetto rustico.
Il grano saraceno è una pianta erbacea annuale che appartiene alla famiglia delle Poligonacee. Sgombriamo il campo da ogni dubbio: il grano saraceno, nonostante il nome, non è un cereale, quindi è perfetto per celiaci e intolleranti al glutine.
Il nome scientifico di questo vegetale è Fagopyrum, un sostantivo la cui origine etimologica è legata a due aspetti molto particolari. Fagus deriva dal fatto che i suoi caratteristici semi triangolari sono simili a quelli del faggio mentre piròs sottolinea un aspetto molto importante: dalla macinazione dei semi si ottiene uno sfarinato assimilabile alla farina comune.
Il grano saraceno non è quindi legato al frumento ma a specie come il rabarbaro o l’acetosa. Le sue origini si perdono nella notte dei tempi.
Pare infatti che i primi esemplari siano stati coltivati nella regione della Manciuria, in Cina, intorno al 6000 a.C. Con il trascorrere del tempo, i suoi semi arrivano in Russia, in Giappone e in India. Ed è proprio in questa nazione che ha conosciuto un apprezzamento incredibile, tanto da diventare uno dei pochi alimenti concessi durante Navaratri, la festa del raccolto dedicata alla dea induista Dura.
In Cina e in Tibet, regioni in cui la stagione favorevole alla raccolta del frumento è troppo breve, i noodles di grano saraceno rappresentano un caposaldo dell’alimentazione. Ed è proprio dai cinesi che i Giapponesi con i Soba e i Coreani con i Naengmyeon hanno imparato a realizzare a mano queste tagliatelle così singolari.
In America il grano saraceno è stato importato dagli immigrati dell’Europa dell’est. Qui è diventato la base di lacune ricevette a base di cavolo o di gustose zuppe. Con il grano saraceno è possibile preparare ottimi pancake, i blinis russi oppure le gallette bretoni francesi
In Europa questa pianta arriva nel corso del XV secolo seguendo le rotte commerciali che dal Mar Nero portavano in Germania. Qui assume il nome di "grano dei pagani" perché veniva importato dall’Oriente. In Italia arriva soltanto il secolo successivo nelle zone della Valtellina, dove trova un habitat perfetto per prosperare. Non è un caso infatti che uno dei piatti tradizionali della zona siano proprio i pizzoccheri alla Valtellinese, una pasta realizzata con la farina di grano saraceno. La sorte di questo vegetale ha conosciuto fasi alterne. Nel corso del XX secolo la sua coltivazione è diminuita drasticamente a favore di altri prodotti più redditizi. Soltanto negli ultimi tempi, le sue capacità nutritive unite alla possibilità di essere inserito nell’alimentazione dei celiaci, ne ha favorito un rinnovato successo.
Il grano saraceno ama i terreni poco fertili e ben drenati. Le sue lunghe radici infatti penetrano il suolo arrivando a carpire l’umidità del terreno fin nei meandri più nascosti. Non ama né il caldo né il freddo eccessivo. Il suo ciclo vegetativo è molto breve (circa 100 giorni) e questa caratteristica lo ha portato a essere considerato una coltivazione "a intercalare" ovvero successiva ad altri allevamenti più consistenti e lunghi come orzo o frumento. I frutti sono raccolti quando hanno raggiunto un’intensa colorazione scura. Una volta terminato il raccolto, ogni seme dovrà essiccare per un periodo non inferiore ai 20 giorni.
Non è facile produrre la farina di grano saraceno a causa della forma tetraedrica del seme. Il pericarpo infatti, ovvero la parte esterna, contiene sostanze incompatibili con l’uso alimentare umano. Tale membrana può essere eliminata in due modi. Il primo consiste nel trattamento idro- termico. I semi vengono inumiditi, scaldati per una decina di minuti e poi fatti raffreddare. In questo modo la pellicola si stacca e i chicchi sono pronti per la setacciatura.
Il secondo metodo invece prevede, dopo la pulizia, una leggera decorticazione. Lo sfarinato così ottenuto potrà essere più o meno scuro, in base alla quantità di parte esterna che il produttore ha deciso di mantenere.
Il valore biologico del grano saraceno è molto alto. Vitamine, minerali, e aminoacidi rappresentano un surplus di energia adatto ad affrontare il rigore dei mesi invernali. È un’ottima fonte di amminoacidi essenziali come lisina e triptofano, ha un basso indice glicemico ed è ricco di fibre e fitosteroli.
La farina scura è senza dubbio quella più ricca di fibre. Prima di utilizzarla occorre tener presente il suo gusto forte e marcato che può non piacere a tutti. Questo è il motivo per cui si usa poche volte in purezza. Per produrre un pane fragrante e profumato viene mescolata con altre farine. In questo caso però, in base al tipo di farina che si utilizza, non è più un alimento gluten-free. Tra le preparazioni più gustose e rinomate ricordiamo la polenta taragna, ottenuta dall’unione della farina di mais con un 20% di farina di grano saraceno.
La farina di grano saraceno bianca invece è passata attraverso un processo di pulitura molto più accurato. Questo step regala uno sfarinato più chiaro, quasi candido, che conserva intatte tutte le proprietà nutritive di partenza senza il sapore marcato che contraddistingue i semi. Può essere utilizzata per qualsiasi preparazione, sia dolce che salata.
La farina di grano saraceno germinato invece ha un sapore più dolce e delicato. Per ottenerla i semi vengono sottoposti a un duplice processo: germogliamento e fermentazione. In questo modo gli enzimi naturali regalano un impasto voluminoso, ben alveolato e ricco di un gusto tenue presente anche dopo la cottura. La sua struttura le permette di diventare un ottimo starter nella preparazione del lievito madre, del quale assorbe l’elevata acidità.
Il sapore della farina di grano saraceno è molto particolare. Ricorda quello della frutta secca, con un leggero retrogusto amarognolo, e un aroma rustico che conferisce un tocco in più a qualsiasi preparazione.
La farina di avena si ottiene dai semi dell’Avena comune o Avena sativa, una pianta erbacea che appartiene alla grande famiglia delle Graminacee. È uno dei sette cereali più coltivati al mondo ed è noto per le altissime qualità nutrizionali.
Secondo alcune tracce documentali, l’avena era già nota in Asia Minore fin dal 4000 a.C. Qui era utilizzata come mangime per gli animali oppure per ottenere degli alimenti simili al nostro pane, ma solamente nelle epoche in cui la carestia affliggeva i popoli asiatici. Era nota anche ai Greci e ai Romani ma all’inizio non godeva di grande considerazione, anzi, era ritenuta, come testimonia lo stesso Virgilio, un’erbaccia spontanea, quasi infestante. Dopo pochi secoli invece questo cereale inizia a essere considerato una panacea per molti mali, come testimoniano Plinio il Vecchio e gli scritti di Celso, soprattutto per quanto riguarda il benessere della pelle, tanto da essere utilizzata nei bagni terapeutici.
La necessità di crescere in ambienti molto umidi ne incoraggia la coltivazione nei paesi anglosassoni. Qui conosce una duplice sorte. Da una parte diventa l’ingrediente fondamentale del porridge, il pasto corroborante utilizzato dagli scozzesi e dagli irlandesi. Dall’altra invece gli inglesi la snobbano per darla in pasto agli animali.
Oggi le cose sono molto cambiate. L’avena e la sua farina sono alimenti rivalutati e considerati uno dei cardini dell’alimentazione moderna. I principali produttori di avena sono la Russia, gli Stati Uniti, il Canada, la Germania, la Polonia e la Finlandia. In Italia invece la sua produzione è molto limitata.
Esistono all’incirca un centinaio di varietà di avena che possiamo, per comodità, dividere in: avena estiva e avena invernale. La semina avviene generalmente in primavera nelle zone temperate mentre in quelle più fredde occorre aspettare l’inizio dell’estate. Resiste bene al freddo, alla neve, alle gelate tardive e a molte malattie. Non ha bisogno di terreni particolarmente ricchi e generalmente offre una crescita molto vigorosa.
Lo stelo sottile può arrivare fino a un metro e mezzo d’altezza. La spiga centrale è composta da molte spighette le quali assumono un’intensa colorazione gialla quando i semi contenuti all’interno hanno raggiunto la piena maturazione. Gli agricoltori spesso non aspettano il compimento del ciclo vegetativo perché preferiscono intervenire quando i semi conservano almeno un 35% di umidità al loro interno. Dopo la trebbiatura, le piante vengono trasportati dal campo ai silos.
La farina di avena si ottiene dalla macinazione dei semi. Prima di arrivare a questa fase, essi subiscono un processo di pulitura necessario per togliere la polvere e tutti quei residui di natura vegetale e minerale che potrebbero alterare la purezza del prodotto finale. Come nel caso del grano saraceno, anche l’avena è dotata di un pericarpo esterno che contiene sostanze tossiche per l’uso umano. Per questo motivo, attraverso una leggera abrasione, è necessario togliere la membrana esterna, prima di macinare il seme. In questo caso si parla di avena decorticata. Dopo la rimozione dell’involucro fibroso e la divisione in base alle dimensioni, il cereale è pronto per essere macinato.
Fiocchi, farina finissima o crusca d’avena: questi sono i tre formati più comuni derivanti dalla macinazione. La farina si ottiene facendo passare i chicchi attraverso delle pietre o mulini a martelli che rompono i semi. Lo sfarinato che ne deriva viene passato attraverso vari setacci e l’operazione continua finché non si ottiene un prodotto finissimo.
Il fiocco d’avena invece deriva dallo sfaldamento del seme attraverso iniezioni di vapore. Al termine di questo processo i fiocchi vengono fatti essiccare e preparati per il trasporto. In base al loro spessore saranno utilizzati per alimenti a cottura istantanea, rapida o tradizionale.
La crusca d’avena infine è lo scarto che si ottiene dalla macinazione del seme. Trascurata fino a qualche tempo fa, oggi è considerata un super food per l’elevato quantitativo di fibre presenti al suo interno.
L’avena è un alimento molto importante. Bastano 100 grammi infatti per fare il pieno di proteine, fibre, vitamine del gruppo B e numerosi minerali. La presenza dei beta-glucani nell’involucro esterno, quindi nella crusca, ha permesso di annoverarla tra i cibi che aiutano a ridurre i valori di colesterolo nel sangue. L’avena contiene una sostanza unica nel suo genere, l’avenina, una proteina che aumenta il senso di sazietà e provoca un naturale rilassamento.
Un discorso a parte merita il rapporto tra farina di avena e celiachia. Le avine presenti nell’avena possono scatenare, seppur in minima parte, una reazione allergica nei celiaci simile a quella scatenata dalla gliadina del grano. Prima di consumarla quindi, oltre a cercare in commercio la farina o i fiocchi d’avena senza glutine, è sempre necessario consultare uno specialista.
Gli usi in cucina sono veramente tanti. Il primo e forse il più conosciuto è il porridge ovvero un piatto tipico delle popolazioni anglosassoni che si prepara con i fiocchi o con la farina fatta bollire con latte o acqua. Può essere sia dolce che salato e rappresenta un pasto sano, corroborante e povero di calorie. In Inghilterra invece nel 1899 è stata fondata la prima fabbrica dedicata esclusivamente alla produzione di pane a base di farina d’avena, una vera leccornia che da tempo immemorabile è presente sulle tavole degli inglesi. In Gran Bretagna e in Scozia, questo cereale è il protagonista indiscusso di birre e whisky particolarmente pregiati.
In Mongolia la farina d’avena (Youmian) viene trasformata in noodles e piccoli panini che costituiscono una delle fonti energetiche più importanti di quelle popolazioni.
Da sola o mescolata ad altre farine, permette di ottenere dolci, crostate e biscotti friabili e profumati. Gli intolleranti al lattosio invece possono berne tranquillamente il latte, una bevanda vegetale ottenuta dall’ammollo in acqua dei fiocchi di avena.
Il miglio è una pianta erbacea annuale che fa parte della famiglia delle Graminacee. Le sue origini sono antichissime, i primi raccolti pare siano stati realizzati nel 10.000 a.C. nella Cina Settentrionale. Insieme ad alimenti come l’orzo, i ceci e le lenticchie, costituiva la base dell’alimentazione dei Sumeri.
Secondo l’antica scuola salernitana, era un alimento destinato a coloro che volevano sentirsi in forze senza per questo aumentare di peso. Consumato soprattutto sotto forma di polentina leggera, il miglio divenne molto importante nel 300 perché pare che i carichi stipati nelle cantine salvarono Venezia dalla carestia. Qualche anno più tardi, il miglio divenne l’ingrediente principale di un pane dal gusto rotondo e delicato. Di queste piccole pagnottine non si buttava via niente. I pezzi induriti dal contatto con l’aria o dalla cattiva conservazione, venivano messi a bagno nell’acqua per ricavarne piccoli gnocchetti.
La Germania è stata la nazione in cui questo cereale ha conosciuto una fama incredibile tanto da essere presente anche nella mitologia sotto forma di montagna sulla quale risiedeva la dea della fertilità.
Oggi è ampiamente coltivato in Cina, Nepal, Russia, India, Stati Uniti e Romania. In Italia meridionale è conosciuto anche con il nome di "vulpacoc" in quanto le sue spighe ricordano la coda di una volpe.
Il miglio cresce velocemente. Dopo 60 giorni dalla semina è pronto per essere raccolto e pare sia stata proprio caratteristica a renderlo così interessante agli occhi delle popolazioni seminomadi della Cina settentrionale. Non necessita di molte cure e l’apparato radicale rimane in superficie. Questa caratteristica gli permette di non impoverire il terreno delle sue riserve idriche che rimangono così intatte per le colture messe a dimora dopo il raccolto del miglio stesso. Come il mais, anche questo cereale ama il sole e il caldo. Resiste bene alla siccità e cresce bene su terreni leggeri e mediamente fertili. Inattaccabile dalle malattie e dai parassiti, trova il suo punto debole nelle erbacce infestanti.
La pianta può arrivare fino al metro e mezzo di altezza. Le infiorescenze sono simili a quelle del mais e da ognuna partono le spighe che contengono i piccoli semi. La raccolta va da fine agosto a metà settembre e viene effettuata grazie alle mototrebbie.
La farina di miglio, notoriamente senza glutine, è ottenuta dalla macinazione dei semi di miglio interi che vengono solo parzialmente abburrattati in modo tale da conservare intatte alcune fibre molto importanti per l’alimentazione umana. È uno dei cereali più completi. Ricco di amido, calcio, potassio e rame, offre anche un elevato quantitativo di ferro e magnesio. La farina di miglio inoltre contiene le vitamine del gruppo A e B ed è particolarmente indicata per l’alimentazione dei bambini.
In cucina la farina ottenuta da questo cereale non altera il sapore degli alimenti. Si presta egregiamente alla panificazione, soprattutto se addizionata con altre farine. Con questo alimento è possibile preparare biscotti, crackers, dolci, crostate grissini. I semi di miglio possono essere utilizzati anche per preparare un ottimo latte vegetale.
La farina di riso è un alimento naturalmente gluten-free che si ottiene dalla macinazione finissima dei chicchi di riso. Utilizzata in sostituzione della farina di grano in numerose ricette, è un ottimo addensante per creme, salse e zuppe.
Le tipologie di riso coltivare nel mondo sono due: Oryza sativa, la più diffusa, e Oryza Gaverina, di origine africana. Nato alle pendici dell’Himalaya, il riso selvatico era consumato in Cina, Corea, Thailandia e Vietnam già 15.000 anni fa. I primi a portare il riso in Occidente furono i Greci, grazie ad Alessandro Magno che rimase stupito dalla capacità di questo cereale di crescere bene nell’acqua. Era considerato comunque un alimento costoso, destinato all’alimentazione dei ricchi e quindi da usare con parsimonia.
Nel nostro Paese arrivò intorno al ‘400. Le prime risaie furono realizzate da Ludovico il Moro lungo la Pianura Padana e nella zona di Vercelli. Il riso fu molto importante durante i vari episodi di carestia perché gli abbondanti raccolti e l’indiscusso valore energetico lo resero un alimento capace di sfamare il popolo ormai stremato.
Il riso coltivato nelle risaie è caratterizzato da radici poco profonde che hanno la funzione di ancorare la pianta alla superficie. I semi maturano all’incirca cinque settimane dopo la fioritura e sono coperti da una pellicola color argento che contiene la maggior parte degli elementi nutritivi. Dopo la mietitura, i chicchi vengono puliti e privati anche solo parzialmente della membrana esterna.
La farina si ottiene macinando i chicchi. Il chicco può essere macinato senza l’involucro che lo ricopre per ottenere una farina bianca brillante, oppure può essere macinato integralmente e in quel caso si ottiene la farina di riso integrale.
La granulometria è un altro aspetto molto importante. Se macinata finissima, la farina è fine e impalpabile, altrimenti è più grezza.
La farina di riso è facilmente digeribile, contiene pochi grassi ed è una fonte importante di vitamine, sali minerali, aminoacidi come tiamina e niacina.
In cucina, la farina di riso bianca finissima è un ottimo alleato per preparare salse, creme, budini e frolle raffinate. Se al contrario è un po’ più grossolana può essere utilizzata per preparare pane e pizze adatti ai celiaci. La farina di riso integrale è indicata per cucinare dolci rustici, pasta fatta in casa e saporite torte di verdure.
Alto contenuto proteico e totale assenza di glutine: queste sono le caratteristiche che rendono la quinoa uno degli alimenti più apprezzati dell’alimentazione sana e naturale. Questa pianta erbacea annuale fa parte della famiglia dell’Amaranto. La parte più preziosa è rappresentata dai semi, piccoli scrigni ricchi di sostanze nutritive.
I botanici amano affermare che la quinoa si diffuse lungo i territori andini insieme ai lama. Parliamo di epoche remote, circa 6000 anni fa. Quello che sappiamo con certezza che sia l’animale sia la quinoa hanno avuto la capacità di adattarsi a un ambiente ostile e impervio, diventando due elementi fondamentali per la sopravvivenza di quei popoli.
La quinoa era chiamata "la madre di tutti i semi" e per gli Incas aveva un significato profondo, quai mistico. Alla quinoa erano dedicate alcune cerimonie con l’intento di evocare abbondanza e prosperità per il popolo. Questa sua prerogativa fu purtroppo anche la causa della sua scomparsa dal mondo alimentare ed economico per un lungo periodo di tempo. I Conquistadores spagnoli infatti, vedendo in questo cereale un simbolo del paganesimo, decisero di eliminarla, distruggendo tutte le piantagioni. I suoi campi vennero rimpiazzati con colture come il mais e le patate.
Eppure, questa piccola pianta riuscì a sopravvivere in alcune micro-aree. Negli anni ’80 i mercati statunitensi hanno iniziato a guardare con interesse alla quinoa, determinando in questo modo la rinascita di questo cereale che in breve tempo è tornato di nuovo alla ribalta in Canada, Bolivia e Perù.
In Europa il successo della quinoa è più lento ma in costante crescita.
La Chenopodium quinoa è una pianta annuale che ha un ciclo vegetativo di circa 200 giorni. Ama i terreni poco fertili e sabbiosi, adattandosi con estrema facilità a qualsiasi condizione del suolo. I semi sono piccoli e appiattiti e non maturano tutti insieme. Questa caratteristica impone la raccolta a mano della quinoa, una raccolta che deve essere effettuate con la massima attenzione per evitare la frantumazione delle pannocchie stesse.
I semi della quinoa all’esterno sono rivestiti dalla saponine, sostanze che conferiscono un sapore amaro al cereale e che sono potenzialmente tossiche per l’intestino umano. Prima di procedere alla macinazione i semi devono essere accuratamente lavati per eliminare ogni residuo. La farina di quinoa è una polvere di colore grigio-verde ottenuta dalla macinazione dell’intero seme, quindi è un prodotto integrale.
Il valore nutritivo è incredibile. La quinoa è un concentrato di proteine ad alto valore biologico, di vitamine e sali minerali. Adatta all’alimentazione degli sportivi, dei vegetariani e delle persone convalescenti, offre un’alta percentuale di carboidrati complessi che regalano una scorta di energia a lento rilascio. Contiene inoltre alcuni amminoacidi essenziali e un discreto quantitativo di flavonoidi.
La farina di quinoa è un alimento molto versatile. Di solito viene utilizzata in tutti gli impasti non troppo voluminosi, caratterizzati quindi da una lievitazione contenuta. Può essere utilizzata con discreti risultati nella panificazione gluten-free. Il gusto caratteristico la rende ideale per preparazioni salate come muffins, quiche e torte a base di verdure. Nelle ricette dolci va accostata a ingredienti dal sapore deciso come cioccolato o caffè. La versione tostata offre un gusto meno deciso, perfetto per chi vuole godere dei principi nutritivi del cereale ma non ne apprezza il retrogusto erbaceo.
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